A tratti un lupo ringhia nel mio sangue. E quando lo fa, uccido. Boris è il mio nome. Vivo d’inganno e di rapina. Scaltro, ricco, temuto, sono nato dall’altra parte del mare, a Candia, da madre bulgara. Mio padre aveva pecore e capre, e l’aria mansueta di chi vive del suo, ma la notte svaligiava le case dei mercanti. Ricordo il giorno che mi lasciò solo di guardia al gregge. Ho undici anni e il suo pugnale. Quando il figlio del fabbro e quello del maniscalco mi trascinano in una sassaia io so cosa fare. Vogliono disonorarmi. Al primo pianto la lama sotto l’ascella, al secondo alla base del collo. Quella notte vennero i lupi. Fermo l’assalto del primo. Il ferro lo apre sotto l’orecchio. Grido quando il secondo quasi mi stacca il braccio. Il nostro vecchio cane mi sente, sveglia mio padre e i suoi cinque fratelli, che massacrano il branco. «Dal lupo impara il coraggio, figlio, e la pazienza. Osserva, organizza, colpisci». Porto ancora i segni di quei denti sul polso. Sono il mio orgoglio. Non mi lasceranno mai, finché respiro la bestia respira in me.